Signore, perché hanno distrutto le nostre campagne?

 

Ieri, quando sorpassavamo le ultime case del paese per andare verso la campagna,
sentivamo tra le siepi il canto dell’usignolo durante le notti di primavera,
il rumore dei nostri passi faceva scappare i fagiani e le lepri nel verde,
greggi di pecore e qualche capra pascolavano nei campi.
Per noi era come una festa, prendere la bici e andare verso il bosco per l’uscita di Reparto.
Da lontano si scorgevano le punte dei campanili dei paesini vicini.

Un giorno però, i politici e i tecnici comunali si sono messi d’accordo
per tracciare un nuovo e ampio piano urbanistico,
con strade larghe e lunghe, zone residenziali, commerciali e industriali.
Alla nostra insaputa, gli imprenditori del settore edile hanno comprato i nostri campi, i nostri animali, il nostro bosco per investire tanti soldi e spingere l’economia ad andare avanti.
Di sorpresa sono arrivati i geometri a prendere le misure, a fare i rilievi, a calcolare gli angoli e le distanze.
Sono arrivate larghe ruspe che hanno rovesciato tutta la nostra campagna verdeggiante.
Le scarpate e le siepi sono scomparse, asportate via nei camion, come piccoli mucchi di sabbia.
Hanno scavato le fondamenta di un mondo nuovo sulle rovine di un mondo campestre e bello!
Le betoniere hanno versato metri cubi su metri cubi di cemento armato.
Sono cresciuti case, quartieri, supermercati e capannoni industriali come funghi, là dove andavamo a funghi nei giorni d’autunno.
Autostrade e stradoni hanno sostituito la nostra semplice strada provinciale.
Chilometri di lampioni lungo le vie e sulle piazze, con luci gialle o bianche, hanno denaturato la notte: ormai si sono persi i ritmi naturali.
Non esistono più distinzioni tra paese e paese perché tutto è divenuto un hinterland dove i vecchi campanili si sentono schiacciati dai palazzi e dai grattacieli delle multinazionali.

Oggi, l’uccello non canta più la sua melodia perché non ha più un nido dove abitare.
Gli animali selvaggi sono scomparsi per sempre: la loro foto è rimasta nei libri dei bambini, come ricordo di un’epoca passata.
Le pecore e le mucche sono state rinchiuse in stalle come fossero allo zoo, per soddisfare la lezione di scienze degli scolari.
I fiori non crescono più perché non hanno più né terra, né aria pulita, né acqua pura.
Il bosco dei nostri incontri è stato sostituito dalla discoteca, con luci abbaglianti e colorate,
dove i giovani si ritrovano per divertirsi nel frastuono delle musiche e nei vapori sensuali di bibite inebrianti e di corpi eccitati.
Solo l’erbaccia trova a stento un buco nel duro cemento, troppo soffocata dai calori dell’asfalto.

Signore, sono triste perché mi sento ingabbiato nei meandri della città moderna,
senza respiro per vivere,
senza silenzio per pensare,
senza uccelli per ammirare l’armonia del tuo creato,
senza boschi per le attività scout,
senza notti profonde per contemplare la luna e le stelle.

Amico mio, figlio del mio amore,
Sono io ad aver fatto l’uomo.
Sono io ad averlo messo nel Giardino dell’Eden perché potesse ammirare la bellezza della mia creazione.
Purtroppo gli uomini si stanno fabbricando un universo, senza natura, senza verde, senza Dio, pieno di cemento armato, di chiasso e di traffico diurno e notturno.
Gli uomini stanno edificando un mondo disumano!
E quando l’uomo, la mia creatura, perde contatti con il creato, rischia di perdere anche i contatti con se stesso, di appassire come l’erba e di seccare.

Invece non era così all’inizio, all’alba dell’umanità, quando ho modellato la terra per amore degli uomini:
“Ecco, io vi do ogni erba che produce seme e che è sulla terra e ogni albero,
A tutte le bestie selvatiche, a tutti gli uccelli del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra, io do in cibo ogni erba verde.
Dio vide quanto aveva fatto.
Ecco, era cosa molto buona.
E fu sera e fu mattina!” (Genesi 1, 29-31)

 

Padre Etienne

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