Una fede stimolata 

I Goumier non si accontentano soltanto di cogliere i fiori nel loro deserto. Oltre al frutto della fraternità Goum, essi sperano anche in quello della fede che il Signore offrirà loro, riversandola, pigiata, scossa e traboccante, nelle pieghe della loro djellaba!
Vestiti di povertà, camminando al passo di un vento che li rende liberi, rifioriti nel corpo e nello spirito, con il volto sereno, essi aspettano tutto dal loro Padre che sta nei Cieli. Come dei bambini, gli chiedono ‘il pane quotidiano’, cioè quella fede sincera senza la quale è impossibile piacere a Dio: “Senza la fede però è impossibile essergli graditi; chi infatti si accosta a Dio, deve credere che Egli esiste e che ricompensa tutti coloro che lo cercano” (Ebrei 11, 6).

 

“’Hai sete anche tu?’ domandai al piccolo Principe. Ma non rispose alla mia domanda. Mi disse semplicemente: ‘Un po’ d’acqua può far bene anche al cuore...’ Non compresi la sua risposta, ma stetti zitto... sapevo bene che non bisognava interrogarlo...” (Saint-Exupéry – Piccolo Principe).
La fede è un po’ come un’acqua benefica. Non ci si disseta, infatti, studiando nei libroni le formule fisiche e le reazioni chimiche dell’acqua. Ci si disseta invece, tirando energicamente a sé quel secchio traboccante d’acqua pura, tuffando in esso la propria borraccia e bevendo a pieni sorsi la sua freschezza. La fede è come l’acqua pura. Immergersi per ore e ore nei trattati di teologia non basta certo per trovare la fede. Bisogna prima riceverla come un dono e poi metterla in pratica. È ciò che fanno i Goumier nei loro raid, quando vanno alla ricerca di un pozzo, nell’immensità del deserto.

 

Vivere la fede è accogliere una Parola, ma non una qualsiasi parola, non una parola che passa, cioè una parola effimera che cade nel dimenticatoio del tempo ed è seppellita per sempre. Vivere la fede è accogliere la Parola di Qualcuno che vive, è incontrare una Persona. Accoglierla. Abbracciarla. O meglio, lasciarsi abbracciare! Se vivere la fede si riducesse a seguire un’idea, a difendere un’ideologia, a rispettare una morale, a promuovere un progetto,... sarebbe terribilmente noioso! Quando si ama, non si ha voglia di stringere un teorema, ma una persona viva. Chi crede fa l’esperienza strepitosa dell’essere incontrato, amato, abbracciato, accompagnato! “NO! Non una formula ci salverà, ma una Persona, e la certezza che essa ci infonde: Io sono con voi!” (Giovanni Paolo II).


Tante persone battezzate, tanti ragazzi che hanno fatto la Comunione o che hanno ricevuto la Cresima non vivono la fede. E’ stata seminata nel loro cuore, ma è rimasta allo stato di ‘seme’ senza mai crescere, anche se hanno ricevuto i Sacramenti e tutto il resto. Sono mancate le condizioni favorevoli, forse è mancato un incontro particolare, sicuramente è mancata l’ora di Dio! Queste persone seguono più o meno i riti cristiani, possono essere interessate ai valori morali del Vangelo, sanno qualcosa di Gesù come personaggio storico e... basta. Non lo sentono vivente però nella loro vita. Per loro, Dio è assente, è straniero alla loro vita, lo sfidano o lo contestano. O peggio ancora, non se curano minimamente! Non sanno cosa significhi l’incontro personale con Lui.


L’esempio di San Paolo è lampante! Lui è un uomo religioso, un fariseo, un osservante scrupoloso della Legge della Sinagoga. Paolo però non ha ancora incontrato Gesù, dunque lo perseguita e si accanisce contro i suoi seguaci. Parte e, galoppando sulla via che porta verso Damasco, fa l’Incontro decisivo con Gesù. E’ Gesù stesso a prendere l’iniziativa. Lo rovescia, lo butta a terra, lo scuote nel suo orgoglio e gli dice: “Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?’. Rispose: ‘Chi sei, o Signore?’. E la voce: ‘Io sono Gesù che perseguiti!” (Atti 9, 5)... E’ l’irruzione di Cristo risorto che invade tutta la persona, la spinge a cambiare vita. E’ la conversione! Ormai al centro del cuore di Paolo non c’è altro che Gesù, un amore indiviso e assoluto. Paolo è passato dall’essere religioso all’essere credente perché è stato incontrato da Gesù e ha risposto con la fede. E noi? Gesù di sicuro non ci abbandona: mette spesso sulla nostra strada dei testimoni, delle persone significative, la sua stessa Parola o la Comunità cristiana per ‘bussare’ al cuore e provocare l’Incontro. Ma noi ci lasciamo incontrare da Lui? A che punto siamo? Accogliamo i ‘segnali’ della sua Presenza, i sussulti della sua Voce? O soffochiamo i suoi richiami intimi nella confusione per non sapere, per non vedere, per non essere disturbati?

 

Che meraviglioso dono è la fede! Essa è una Luce in quanto, credendo nella Parola e accogliendola, l’uomo si lascia invadere dalla Luce di Dio e dalle Sue certezze. “Lampada per i miei passi è la tua Parola, luce sul mio cammino” (Salmo 118, 105). Questa Luce illumina ogni particolare della vita dell’uomo, le dà un senso pieno e la orienta verso orizzonti Alti. Per chi vive la fede, qualsiasi atto quotidiano (ad esempio, mangiare, vestirsi, divertirsi...), qualsiasi scelta importante (ad esempio, la scelta affettiva, quella professionale, quella vocazionale...), qualsiasi enigma (ad esempio, la sofferenza, la sconfitta, le varie prove, la morte...) tutto, assolutamente tutto, viene illuminato da questa Luce nuova. Con la Luce della fede tutto si arricchisce di valori nuovi, tutto si orienta verso una direzione chiara. Si capisce perché il Vangelo è chiamato ‘Buona Novella’: è la Parola che irradia una Luce nuova e divina su tutto l’essere e il fare dell’uomo, per orientarlo verso il suo progetto di Salvezza. Nel cuore di chi crede c’è sempre la novità e la freschezza della Luce di Dio!


Una fede luminosa che dà un senso profondo alla vita dell’uomo sulla terra e che offre risposte soprannaturali a domande sulle quali troppe persone, anche tra le più colte, si scontrano, trasformando la loro vita in incubo. “Gli squilibri di cui soffre il mondo contemporaneo si collegano con quel più profondo squilibrio che è radicato nel cuore dell’uomo. È proprio all’interno dell’uomo che molti elementi si combattono a vicenda. Da una parte infatti, come creatura, sperimenta in mille modi i suoi limiti; d’altra parte sente di essere senza confini nelle sue aspirazioni e chiamato ad una vita superiore. Sollecitato da molte attrattive, è costretto sempre a sceglierne qualcuna e a rinunziare alle altre. Inoltre, debole e peccatore, non di rado fa quello che non vorrebbe e non fa quello che vorrebbe. Per cui soffre in se stesso una divisione dalla quale provengono anche tante e così gravi discordie nella società (...) Alcuni, disperando di dare uno scopo alla vita, lodano l’audacia di quanti, stimando l’esistenza umana vuota in se stessa di significato, si sforzano di darne una spiegazione completa mediante la loro sola ispirazione. Con tutto ciò, di fronte all’evoluzione attuale del mondo, diventano sempre più numerosi quelli che si pongono o sentono con nuova acutezza gli interrogativi più fondamentali: che cosa è l’uomo? Qual è il significato del dolore, del male, della morte, che continuano a sussistere malgrado ogni progresso? Cosa valgono quelle conquiste pagate a così caro prezzo? Che apporta l’uomo alla società, e cosa può attendersi da essa? Cosa ci sarà dopo questa vita? Ecco: La Chiesa crede che Cristo, per tutti morto e risorto, dia sempre all’uomo, mediante il suo Spirito, luce e forza per rispondere alla sua altissima vocazione, né è dato in terra altro nome agli uomini, mediante il quale possono essere salvati. Essa crede anche di trovare nel suo Signore e Maestro la chiave, il centro ed il fine di tutta la storia umana” (Concilio Vaticano II - “Gaudium et Spes”).

 

Durante i raid, per ciò che riguarda il cammino di fede, ognuno va al proprio passo... come per il resto! Nessuno domanda niente a nessuno. Quelli che sono ancora alla ricerca o in una fase di incertezza totale sono assolutamente liberi di agire come vogliono. Peraltro apprezzano coloro che, tentando di rinsaldare la propria fede, agiscono senza complessi e in piena libertà!
Sarebbe un vero peccato però ricostituire la propria integrità personale, senza aprirla al dono di Colui che, solo, possa suggellarne l’unità. Sarebbe un vero peccato riacquistare il gusto della vita, senza esporla ai raggi di Colui che, solo, possa aprirla alla Luce.

  • Come per tutto il resto, i mezzi adottati dai Goumier per stimolare la fede sono semplici:Il Vangelo. Esiste una sorprendente affinità tra l’avventura Goum e il Vangelo! Camminando a lungo, bivaccando come beduini, raccogliendo qualche frutto nei campi... ben presto scopriamo di vivere  quello stesso stile di vita di cui si parla nei Vangeli, con gli stessi ritmi (o quasi), con la stessa natura fatta di greggi che escono presto la mattina, di campi seminati, di strade sassose,... La bellezza vissuta in prima persona durante il Goum permette di capire quell’altra Bellezza che è ‘Buona Novella’. Tutto questo dà alla nostra spiritualità una forza unica che spalanca i timori della fede!
  • Un sacerdote. Non esiste raid Goum senza sacerdote. Senza di lui la Tribù Goum non può partire. Egli è un Goumier tra i Goumier, fa gli stessi chilometri, accende il fuoco, prepara i pasti e, cantando, offre il suo sacerdozio a piene mani. Insegna la Parola, offre la Tenerezza di Dio nel sacramento della Riconciliazione, celebra l’Eucaristia e porta Gesù in mezzo alla piccola tribù. La sua presenza è vitale per la salute spirituale di coloro che si buttano in quest’avventura nel deserto. Purtroppo succede qualche volta che l’assenza del sacerdote o la sua poca voglia di essere ministro del Signore, paralizzi l’energia dei migliori e scoraggi l’attesa di tutti.
  • La meditazione. Viene fatta al mattino presto sul luogo del bivacco, mai diversamente. Dura un’ora intera, durante la quale i Goumier ascoltano, osservano, si mettono in armonia con il deserto, il silenzio, la bellezza,... che sono i tanti trampolini che proiettano verso l’infinito. Per nessun motivo al mondo i Goumier ne farebbero a meno. Il pasto mattutino riunisce tutti, ma subito dopo, le varie incombenze disperdono: alcuni sono intenti a lavare i piatti, altri alle proprie faccende, altri ancora a lavarsi i denti. Il tutto nella calma. Poi qualcuno intona un canto con la chitarra e ci si riunisce ancora, ma questa volta per un’altra mensa: quella della Parola di Dio. Bisogna saper lasciare da parte le proprie piccole preoccupazioni e aspettare la fine della messa - e non prima - per riprenderle di nuovo. Uno o due Goumier, avvertiti la sera precedente, parlano a cuore aperto. Per dieci minuti e non di più, propongono brevi riflessioni, ‘spigolate’ lungo i chilometri, parole piene di significato. Partendo dal Vangelo, essi ricordano alcuni principi della vita cristiana. I primi giorni sono i Goumier Esperti a dare l’esempio, i più giovani ci provano successivamente.

 

 E poi ognuno si sparpaglia. Come per tutto il resto, i Goumier sono liberi. Non esiste, nel vero senso della parola, un metodo Goum per la preghiera. Ognuno si raccoglie tranquillamente nel silenzio, di fronte alla bellezza, all’immensità: non sono forse i maestri incondizionati di ogni preghiera sincera? È molto difficile infatti pregare tra le bruttezze, la sporcizia, la confusione e il rumore. Non è il momento però di tentare una forte riflessione. Al contrario, se si è preda di vertigini di fronte all’immensità del deserto e al vuoto della propria anima, bisogna soffocare le proprie angosce e abbandonarsi con fiducia nelle mani di un Salvatore. Alcuni si siedono, altri camminano lentamente, altri si sorprendono a canticchiare un ritornello. Tutti però guardano, contemplano e ringraziano! Si può anche prendere il proprio Vangelo e leggere, scoprendo in quelle pagine la stessa bellezza. E ringraziare! E adorare! E lasciarsi invadere dall’infinito! Che si sappia pregare o meno, questa rimane una delle ore più belle della giornata e avrà termine solo alla fine della messa. Queste meditazioni lasciano delle tracce profonde. I Goumier non le dimenticheranno presto. Anche dopo molti mesi dalla fine dal raid, si stupiranno ancora di apprezzare quei silenzi pieni e quei paesaggi in cui traspare la presenza di Dio.

  • La santa Messa. È il centro spirituale della giornata Goum. Viene celebrata all’alba, dopo la meditazione (mai la sera, dopo una giornata di cammino. In quel momento infatti, ciò che si desidera non è una messa, ma riposarsi e bere avidamente dell’acqua fresca!). Essa è celebrata in una cattedrale di luce: il deserto. Ogni giorno, i Goumier costruiscono un altare che decorano poi con grazia, affinché sia in armonia con la bellezza contemplata durante la meditazione. L’altare, per loro, non è mai banale o pericolante. È la mensa sulla quale Dio dona il proprio Corpo e il proprio Sangue ai pellegrini in cammino verso la Terra promessa.

La messa è compito di tutti. Ognuno vi contribuisce con il proprio apporto. Viene preparata la sera precedente con il sacerdote: la scelta delle letture, dei canti,... Quando i Goumier si riuniscono, dopo la meditazione, restano ancora molti dettagli da curare: disporre qualche fiore raccolto qua e là, soprattutto, aggiustare la propria djellaba e riannodare il proprio foulard. Durante la celebrazione i canti sono curati, i portamenti vigorosi, le letture sono proclamate, i gesti misurati, le risposte chiare. Qualsiasi mediocrità viene rifiutata categoricamente. Per il Signore si cerca sempre di dare il meglio di sé. Allora, al posto di seguire la messa dal buco della serratura, come può succedere nelle nostre parrocchie (!),  si partecipa con tutto se stesso, nella gioia.
Al momento della comunione, coloro che desiderano ricevere il Corpo di Cristo si avvicinano lentamente, aprendo largamente le mani per farne i ‘vassoi’ del Dio Vivente! Il sacerdote è là che mostra l’ostia, innalzandola. È il momento dell’Incontro nella fede: gli occhi nei Suoi Occhi! Ognuno pronuncia, ben chiaro, il proprio nome. Non è infatti alla massa che Gesù si offre, ma a Luca, a Cristina ad Alice... a te personalmente. E come successe a Pietro, un giorno, sulle rive del Giordano, Egli cambierà il tuo nome. Ricevere un nome nuovo significa ricevere una nuova vocazione: “Andrea condusse Pietro da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: ‘Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa - che vuol dire Pietro’” (Giovanni 1, 42). È “Al vincitore che darò la manna nascosta e una pietruzza bianca sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce, all’infuori di chi la riceve” (Apocalisse 2, 17). La nostra vita non vale forse ciò che valgono i nostri incontri? Poi ognuno, tranquillamente, tornerà al proprio posto.


I Goumier sono consapevoli che è durante la santa Messa che attingono la forza per andare avanti lungo i chilometri. Più che mai sanno di cementare la loro fraternità, comunicandosi allo stesso Pane di Vita.

  • Il sacramento della riconciliazione non è facile da vivere. Molti esitano e restano sulla soglia della loro anima senza mai scendere nel profondo di sé, dove Dio li attende. Tuttavia non c’è forse, nel cuore di ogni uomo, la necessità di parlare per dar sfogo ad una gioia o ad un’angoscia? “Beato l’uomo a cui è rimessa la colpa e perdonato il peccato (...) Tacevo e si logoravano le mie ossa (...) Come per arsura d’estate inaridiva il mio cuore (...) Ti ho manifestato il mio peccato, non ho tenuto nascosto il mio errore (...) E tu hai rimesso la malizia del mio peccato” (Salmo 31, 1...5). Il peccatore non desidera forse sentirsi dire dalla bocca del sacerdote: “Non ti condanno. Va’, e d’ora in poi non peccare più?” (Giovanni 8, 11). Colui che ama veramente se stesso, saprà superare la vergogna del proprio peccato perché vorrà smettere di trascinarsi dietro i propri errori, come fa invece lo scarafaggio col suo mucchietto di sporcizia!

Dopo una settimana di cammino, in quel luogo di rivelazione che è il deserto, i Goumier sanno di aver bisogno di un Salvatore per guarire le loro miserie, le loro debolezze, i loro tradimenti. Grazie ai chilometri, le apparenze sono cadute. Eccoli adesso veri! Non esitano più a chiamare peccato ciò che è peccato, né male ciò che è male. Questa verità rappresenta già l’inizio della conversione. Docili alla grazia di Dio, si alzeranno in piedi e diranno: “Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te” (Luca 15, 18). Allora potranno assaporare la Tenerezza del Padre che andrà loro incontro abbracciandoli lungamente, poiché erano morti e si sono alzati in piedi per camminare verso la risurrezione. Sono ritornati alla vita. È una fortuna!

  • Il rosario è una preghiera di meravigliosa semplicità: ecco ciò che fa tutta la sua grandezza! Infatti, sullo sfondo dell’ “Ave Maria”, sfilano, uno dopo l’altro, gli episodi più salienti della vita di Gesù. Attraverso quella ‘finestra’ che è Maria, ci si immerge nei misteri gioiosi, luminosi, dolorosi e gloriosi del suo Figlio Gesù. Questa preghiera si accorda perfettamente ai passi del pellegrino, continuamente ripetuti e mille volte ricominciati. Il rosario è la preghiera dei viandanti e dei poveri. Mette il figlio alla presenza di sua Madre che non si stanca mai di sentirsi dire ‘Maria, ti amo’, anche se qualche volta lo spirito vagabonda qua e là, distratto. Ma che importa, una mamma capisce sempre la voce dei suoi figli!

E la sera, quando i Goumier sistemano il bivacco, non sarà certo inutile innalzare con delle pietre una stele, come facevano i Patriarchi dell’Antico Testamento, sulla quale potranno deporre l’Icona della Madonna dei Goum che veglierà amorevolmente sul campo!

  • La preghiera serale al bivacco. Di volta in volta ben preparata, questa preghiera lascia spazio alla spontaneità di ognuno. Ad esempio, si potrà recitare un inno o un salmo a gruppi alterni, un po’ come fanno i monaci in ‘recto tono’. Ognuno vi mette la sua gioia, le sue pene, le sue speranze, le sue intenzioni. Si conclude poi con la litania dei Santi della piccola tribù, con una bella preghiera a Maria e con la benedizione. Subito dopo il gran silenzio ritrova i suoi diritti. Un silenzio che è il prolungamento della preghiera, una lode interiore, un segreto scambiato, un riposo meritato.
  • Il raid Goum un’occasione unica per vivere la Chiesa, come mistero di comunione. La piccola tribù che si avventura in spazi silenziosi, trova nell’Antico Testamento una prefigurazione. Essa è come il Popolo d’Israele che pellegrinava tappa dopo tappa nel deserto, verso la Terra Promessa: “Mosè è colui che, mentre erano radunati nel deserto, fu mediatore tra l’angelo che gli parlava sul monte Sinai e i nostri padri...” (Atti degli Apostoli 9, 38). L’espressione ‘radunati nel deserto’ si traduce con ‘ekklesia’ ossia ‘assemblea’ in cammino nel deserto. Si tratta di un’adunanza sacra, di un raduno nel Nome del Signore. E’ decisamente una parola di comunione. Non una qualsiasi comunione però, bensì la comunione con Dio che convoca il suo Popolo e lo aggrega nell’unità. L’avventura dei Goum nel deserto segue la stessa direzione.

Cosa vuol dire essere chiesa-comunione? Non significa essere persone omogenee e uguali, ma persone diverse che, pian piano, si arricchiscono nell’amore. La diversità vissuta nella carità è sempre ricchezza! Questo è reso possibile quando esiste una relazione aperta, fatta di ascolto e di dialogo, fatta di rispetto delle differenze per la costruzione della Comunità. San Paolo presenta l’immagine del corpo che non può svilupparsi se non esiste comunione tra i diversi membri: “Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: ‘Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo’, non per questo non farebbe più parte del corpo. E se l'orecchio dicesse: ‘Poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo’, non per questo non farebbe più parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l'udito? Se fosse tutto udito, dove l'odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l'occhio dire alla mano: ‘Non ho bisogno di te’; né la testa ai piedi: ‘Non ho bisogno di voi’. Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie, e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte” (1 Corinzi 12, 12-27).


Ma, crescere come chiesa-comunione non è facile di certo! E’ una conquista quotidiana fatta di rinunce ai propri egoismi, di pazienza, di sopportazione, di fiducia,... Quante volte si oscurano i rapporti, l’incomprensione blocca il dialogo, la pigrizia o l’invidia frena la trasparenza, la prepotenza o la rabbia scuotono fino alle fondamenta l’equilibrio della Tribù. Appaiono rancori e chiusure. La relazione che doveva essere di apertura, non è altro che mortale feritoia! Allora l’uomo che è fatto per la comunione si isola e soffre. La chiesa è a rischio!... E quante chiese sono a rischio! Non è più ‘chiesa-comunione’, ma ‘chiesa a compartimenti stagni’ dove ognuno va per conto suo, dietro a suoi egoismi, dove il più forte prevarica sul più debole e lo schiaccia,... la Pace l’Armonia sono scomparse quasi del tutto e il Nemico, il seminatore della Zizzania, si rallegra per le rovine ecclesiali!


La crescita della piccola chiesa Goum, pellegrina nel deserto, passa necessariamente per la Comunione! Questo vale in modo particolare per la comunione tra i responsabili della Tribù e il sacerdote che cammina con loro. Questo delicato equilibrio della comunione necessita responsabilità, ascolto e accoglienza. Non esiste avventura Goum organizzata da laici per laici, dove il sacerdote appare solo per celebrare la messa o semplicemente per confessare e poi il resto è relegato in disparte; come non esiste avventura Goum organizzata da sacerdoti dove i responsabili non sono altro che segretari o semplici facchini! Ma devono esistere persone responsabili della propria vocazione, ognuno tenendo alto il proprio servizio per il bene della Comunità! Per arrivare a tale equilibrio però, ci vuole tempo, umiltà e un profondo senso ecclesiale vissuto nella fede. Infatti quante volte si sono visti laici mancare alle loro responsabilità, tirarsi indietro per pigrizia, non farsi avanti o rifiutarsi nell’impegno per egoismo: allora la comunione della Comunità si squilibra e non tarda a crollare. Il sacerdote potrà fare qualcosa, ma non farà molto perché, organizzare e preparare non è il suo preciso compito! Se a sua volta il sacerdote non gioca a pieno il suo servizio di Uomo di Dio, per annunciare la Parola di Dio alla piccola Tribù, per celebrare i sacramenti, per dare la sua irrepetibile testimonianza di fede, per verificare insieme le scelte di metodo, i responsabili della comunità – anche se fossero bravi – non potranno fare niente di serio.


Questo rischio di chiudersi in una ‘chiesa a compartimenti stagni’  è comune a tante Associazioni cristiane. Ma questo modello di ‘chiesa’ è un’eresia! Purtroppo poche persone – che siano laici o sacerdoti - sanno vivere lo spirito della chiesa come comunione perché manca la preghiera, perché è poca l’umiltà, perché è scarso il dialogo e all’attenzione all’altro! Per fortuna il vangelo ci sprona a non scoraggiarsi, a convertirsi e a riprendere la strada per essere sempre di più chiesa-comunione, al di là di tutte gli ostacoli: “Siano tutti una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato. E la gloria che tu hai dato a me, io l'ho data a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me, perché siano perfetti nell'unità e il mondo sappia che tu mi hai mandato e li hai amati come hai amato me” (Giovanni 17, 21-23). E’ la sfida che vogliono vivere quelle tribù Goum che si avventurano nel deserto!

 

Padre Stefano

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