Fare strada

Camminare è fare un passo e poi un passo e ripetere questo semplice passo. Camminare è un atto profondamente umano e carico di dignità, riflesso della bellezza di Dio sul comportamento umano. Fino a quando gattona, il bambino rimane ancora di peso ai suoi genitori e sotto la loro stretta sorveglianza. Non è libero! Imparando a camminare, il fanciullo si raddrizza per conquistare la sua autonomia, e un po’ alla volta fa le sue scelte per diventare un adulto. Camminare è dunque un’attitudine grandemente umana... camminare è vitale per essere uomo!
L’uomo, nei secoli passati o semplicemente nel secolo scorso, camminava. Era il suo unico o quasi esclusivo mezzo di trasporto. Camminava il pellegrino..., camminava il contadino..., camminava il cittadino. L’uomo moderno non cammina più! Le macchine, i mezzi pubblici, il traffico intenso in città popolose e immense, la continua accelerazione dei ritmi di vita, senza dimenticare la naturale pigrizia, tutto ciò ha cancellato il camminare. E’ un dramma, ma pochi se ne accorgono perché tanti hanno dimenticato che a forza di perdere contatti con la natura, l’uomo perde i contatti con se stesso. Le conseguenze non si fanno aspettare. Anzitutto il corpo è trascurato: quasi sempre seduto, si abbandona alle mollezze delle comodità o alla velocità dei trasporti. Certo si cercherà di recuperare questi vuoti con sport estremi o lunghe ore di palestra: ma tutto ciò non darà mai quel senso di unità e di pace che solo la strada sa trasmettere a chi si segue la sua scuola. A forza di non camminare, le tensioni quotidiane prendono dimensioni smisurate, lo stress entra fino all’anima con le sue paure e le sue paralisi. Osare camminare oggi, è davvero fuori moda!
Più che mai urge la necessità di ritrovare le nostri radici nella natura, uscita vergine dalle mani del Creatore. Conviene ribadirlo perché è troppo importante: urge il contatto con la natura, spesso bella, qualche volta rude, ma sempre veritiera, per curare le ferite di una vita esaurita e ritrovare un po’ di quell’armonia dimenticata. Camminare a lungo, camminare su ampie distese è e sarà sempre un’ottima terapia... e’ quello che fanno i Goumier quando partono come beduini nel loro deserto, zaino sulle spalle, semplici e abbandonati!

 

Non di rado però succede che alcune persone, osando il raid Goum, sperano di trovare una settimana di ritiro spirituale con confronti e lunghe chiacchiere. Non c’è da esitare: sette giorni di silenzio in un’abbazia non hanno mai fatto male ad una persona alla ricerca di Dio. Tutti i giovani lo dovrebbero provare, almeno una volta nella vita. Allo stesso modo non c’è niente di meglio che una settimana di riflessione per aprire la mente agli immensi orizzonti della vita intellettuale. Ma cosa fare del corpo, questo perpetuo dimenticato? Dobbiamo forse lasciarlo inattivo, come se non partecipasse al risveglio globale di tutta la persona? Non ha forse un ruolo da svolgere, un compito ben preciso nella struttura dell’essere umano? Quando i Goumier partono per le loro lunghe marce, tengono ben saldi i piedi a terra per ritrovare il loro corpo e sentirlo vivere. Non sarà certo questo ad impedire allo spirito e all’anima di innalzarsi, anzi! Già la saggezza popolare ripeteva: “uno spirito sano in un corpo sano!”.

 

Allora alziamoci e partiamo!!...
...A piedi, naturalmente, e solamente a piedi! È la regola del gioco che scelgono liberamente i Goumier quando decidono di partire per una settimana - 7 giorni interi - nel deserto. Si tratta per loro di un cammino su ampie distese, con tappe sufficientemente lunghe per abituare il corpo ai chilometri e allo sforzo. In pratica sono circa 150 chilometri, con una media di 21/22 chilometri giornalieri. In fondo, è una cosa del tutto ragionevole. Volerne fare di più e trasformare i raid Goum in una marcia forzata significherebbe travisarne lo scopo. E’ anche vero però che, a farne meno, con la preoccupazione di risparmiare la fatica, diventerebbe una passeggiata. A cosa serve a fare un Goum se è già fallito fin dai preparativi?

 

La spiritualità dei raid Goum passa innanzi tutto dai piedi! Tutto il vigore delle nostre marce nel deserto è racchiuso nell’intimo della parola GOUM. Essa contiene quasi un ordine ad alzarsi, ad andare, a calcare le nostre terre di silenzio per risuscitare e vivere. “E Gesù le disse: “Talita kum”. E immediatamente la fanciulla si alzò e si mise a camminare”. Camminare è parte integrante dell’identità Goum.

 

E’ mattina. La Messa Goum celebrata in una natura incontaminata è appena finita. Ognuno chiude il proprio zaino. Un occhio attento toglie ogni traccia di presenza per lasciare un posto bello come lo si è trovato. Poi tutti si radunano per accogliere le indicazioni e tracciare il proprio cammino. Seduti, in cerchio, ognuno studia la cartina, prende l’azimut con la bussola, si confronta con il vicino o qualche esperto in topografia. Dopo poco, alcuni sono pronti, hanno deciso. L’avventura li ubriaca e... partono senza aspettare. Altri invece tardano a partire perché sempre indecisi, mendicando qua e là un consiglio, uno sguardo d’incoraggiamento. Ad ogni modo, alla fine si deve andare, chi da solo, chi a piccoli gruppi, ognuno inventando la sua strada e avendo strette strette in mano la cartina e la bussola per fare il punto e non smarrirsi.
Ecco la piccola tribù è appena partita sulle sue piste di... libertà. Sono le prime ore sotto il sole. Tutto è nuovo, tutto è stupore perché nessuno è abituato a così tanta luce e così tanto deserto. Superate le ultime paure, mollati gli ultimi ormeggi che ancoravano alle sicurezze della città, ormai ogni Goumier prova emozioni sconosciute. Sono finalmente liberi, liberi di andare al proprio passo, per la propria direzione, senza stress, senza nessun disturbo, senza lo squillo assillante del cellulare e i tempi contati dell’orologio... vanno a passo d’uomo, a ritmo d’uomo: chi si ferma per riequilibrare lo zaino, chi sosta all’ombra di un albero per verificare la cartina, chi beve due sorsi d’acqua prima di continuare, chi invece fischia la sua gioia libera di andare libero, lungo i liberi sentieri... Non si può incatenare l’uomo che cammina! La marcia Goum è una marcia libera e responsabile dove scegliere il proprio percorso è rischiare, ma anche crescere. Non potrà mai essere una camminata dietro al gregge, seguendo ciecamente coloro che stanno davanti. E’ sempre mattina, le ore scorrono, l’orizzonte si allarga su terre brulle e silenziose. Solo il vento soffia la sua musica leggera di libertà. Brividi ed emozioni invadono il cuore di ciascuno!
Ormai il sole è alto nel suo cielo azzurro e i raggi si fanno più pesanti. La strada continua però. Dopo i primi sentieri della mattina, seguono adesso piste improvvise e sconosciute in pieno deserto. I Goumier vanno avanti scoprendo i misteri e le ricchezze che la strada pian piano rivela a uomini troppo abituati a spostarsi in macchina. Infatti, a forza di correre come pazzi su strade e autostrade, a gustare l’ebbrezza della velocità, l’uomo sembra dominare tutto ciò che lo circonda. Con le accelerazioni e gli strilli del suo motore schiaccia la natura inerme e silenziosa. La potenza del suo veicolo lo riempie di violente emozioni e si sente padrone per dominare il creato. Invece, camminando, si comincia ad avere percezioni del tutto inverse. Il Goumier, a causa dei primi dolori di un corpo tutto da rodare, fa l’esperienza della sua fragilità e intravede quanto sia piccolo e vulnerabile. E’ proprio questa vulnerabilità però, che lo rende disponibile ad accogliere un messaggio nuovo, ossia la forza della natura che si rivela e penetra adagio adagio nell’intimo della persona. Camminare a piedi risveglia lo sguardo e aiuta a percepire ogni particolare. Saranno ad esempio, questi orizzonti sempre davanti agli occhi che però si ritrovano lentamente dietro alle spalle dopo ore di strada; saranno le piante e gli alberi che sudano il loro delicato profumo sotto il troppo caldo di una giornata d’estate; sarà il ritornello degli uccelli o il canto dei grilli che suonano la loro sinfonia nell’angolo del bosco; sarà anche questo timido fiore, lungo il sentiero che saluta con il suo umile fascino il viandante affaticato. Quella nascosta potenza del creato, invisibile all’uomo frettoloso, colma pian piano il Goumier di grandezza e di pace. Tutto questo avrà delle conseguenze profonde e ripristinerà un’armonia persa lungo i mesi dell’anno: ecco un’ottima terapia per l’umile pellegrino.
L’avventura Goum inizia, in modo del tutto naturale, proprio dalle piante dei piedi. Essendo a stretto contatto con il terreno, esse vengono messe duramente alla prova sui sentieri pietrosi di quelle solitudini desertiche, nelle salite e nelle discese! “Si dice che il medico cinese Huang Tiun avesse scoperto, 3000 anni prima di Cristo, l’esistenza di punti riflessi nella pianta dei piedi. Tali punti, trattati con agopuntura, possono rafforzare, calmare e regolare la funzione degli organi corrispondenti. Oggi gli specialisti di riflessologia sono convinti che le terminazioni nervose degli organi del corpo si trovino nei piedi” (Michel Menu). I medici dicono che le piante dei piedi, massaggiate per chilometri lungo il cammino sassoso, inviano ad ogni parte del corpo un influsso benefico. E, piano piano, l’andatura ben equilibrata e regolare del pellegrino interverrà sul sistema cardiaco, respiratorio e muscolare. E’ l’antidoto omeopatico ideale contro lo stress. Tutta la persona ritrova progressivamente la sua totale unità e si rasserena. Certo, questo non accade in un solo giorno. È necessario perseverare! Bisogna insistere! Talvolta questa ricchezza si scopre solo dopo il raid, a casa propria! “Durante il Goum non si cammina solo per il solo piacere di camminare! Si ricerca la piena salute del corpo. Il mezzo principale utilizzato per raggiungerla – la strada - produce degli effetti che vanno ben al di là della cura dei nostri polpacci. Il camminare ha ripercussioni considerevoli: guarisce, agisce sull’intera persona, restituisce la pace e la fiducia in se stessi e ci ristabilisce sul nostro centro di gravità interiore. A condizione però, che si tratti di un autentico cammino su ampie distese” (Michel Menu).
E’ fin dalla mattina presto che i pellegrini del deserto camminano, o da soli o a gruppetti. Passano per le piste più svariate, sempre attenti alle lancette della loro bussola per non perdere la loro direzione. Ormai il caldo è afoso. Senza la minima tregua, il sole butta la sua abbagliante luce e la sua soffocante calura. La natura stessa sembra essersi fermata: piante, animali e uccelli fanno una pausa. Tutto tace, tutto è quiete. Solo un filo di brezza soffia, ad intervalli, la sua aria bruciante. E’ ora di fermarsi! Ma che ora sarà? Il gesto istintivo guarda il polso senza... orologio. Non importa sapere se è presto o se è tardi, si tratta semplicemente di vivere l’intensità del presente. Ecco un ulivo che offre la sua l’ombra per un meritato riposo. Bisogna aver faticato per ore e ore di strada sotto il sole, per capire l’intimo piacere di buttare giù il proprio zaino, tirare fuori lo stoino, sdraiarsi sopra, in mezzo alle erbe selvatiche, bere a grandi sorsi l’acqua della boraccia e guardare – spensierati – il lento ondeggiare delle fronde davanti a un cielo azzurro intenso. E’ l’estasi! E’ l’estasi dell’essere se stesso a pieno. Inconsapevolmente viene la voglia di pregare, ognuno a modo suo: forse posare il proprio sguardo sugli orizzonti silenziosi e... contemplare; forse ascoltare i suoni della natura e... ringraziare. Sicuramente calarsi nella densità del presente e recitare: “O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra:
sopra i cieli si innalza la tua magnificenza. Se guardo il tuo cielo, opera delle tue dita,
la luna e le stelle che tu hai fissate,
che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato: gli hai dato potere sulle opere delle tue mani, 
tutto hai posto sotto i suoi piedi. O Signore, nostro Dio,
quanto è grande il tuo nome su tutta la terra” (Salmo 8).
Purtroppo, la sosta non è mai stata l’arrivo di fine giornata al bivacco serale. E dopo la pausa benefica, bisogna riprendere la strada faticosa, cioè strapparsi dal riposo, caricarsi lo zaino che pare stranamente più pesante e riscaldare i piedi mortificati. La stanchezza fa parte dell’esperienza della strada: non esiste camminatore che non abbia sentito i colpi della fatica al punto di imbestialirsi! Allora non si capisce più, non si vede più, non si pensa più, se non altro che alle mille dolenze che investono il corpo da ogni parte: quella vescica che ti fa camminare storto per chilometri, quell’unghia martirizzata a ciascun passo dallo spessore della scarpa, quello zaino che ti entra nella carne, quel sudore che ti brucia gli occhi, quelle mosche che ronzano e beccano al punto di impazzire, quel chilometro che sembra durare più di 1000 metri e che non finisce mai! Non è raro che questa stanchezza fisica diventi anche fatica psicologica, cioè fare l’esperienza – certo non simpatica, ma quanto utile – della propria pochezza, dei propri limiti e soprattutto del proprio non-essere. La strada insegna l’essenzialità perché quando si cammina si accetta il non-avere molto nello zaino, ma soprattutto insegna l’intima povertà del non-essere quando – dopo chilometri - si è ridotti a poco o niente. Venticinque chilometri al volante della propria auto non sono nulla! In pochi istanti sono trascorsi. Ma, quando si fanno a piedi, con lo zaino in spalla, questi stessi venticinque chilometri non finiscono mai. Tutto diventa una prova. In un corpo a corpo con ‘madre natura’ dalle carezze un po’ rudi - indifesi o quasi, da pioggia, sole, vento o freddo - si può toccare con mano la fatica vissuta, la fame vissuta, la sete vissuta. La marcia è un’occasione per una profonda purificazione interiore e un eccellente esercizio di umiltà. Camminare è un’occasione unica per toccare il fondo della propria finitezza, vivere una certa ‘morte’ dalla quale uscirà, a suo tempo, una fiorente risurrezione.
Durante la strada, ci sarà per ognuno l’ora della prova che mette alle strette l’impegno preso alla partenza, la fedeltà e la costanza. Ci sarà l’ora della tentazione, quella di prendere la scorciatoia, o di fermare una macchina e farsi portare per più chilometri, o abbandonare e mollare tutto. Invece la strada è fedele e non si tira mai indietro, perché non sa ingannare! Non esiste scuola di perseveranza più seria che la strada perché accompagna a passo lento il viandante esaurito, lo guida fino alla gioia del bivacco serale. La strada insegna questo coraggio e dà questa gioia!
Spesso i primi tre giorni di cammino sono piuttosto difficoltosi a causa dello scarso allenamento di chi parte per il Raid Goum! Presto si è completamente indolenziti, tutto si blocca e tutto fa male: i piedi, le spalle, lo stomaco che per giunta avrà qualcosa da ridire per la fame! Improvvisamente lo zaino sembrerà troppo ingombrante, le salite e le discese troppo ripide, il sole troppo caldo, il freddo troppo freddo, la strada troppo lunga,... Grosse gocce di sudore accompagneranno questa fase di ‘iniziazione’, così necessaria perché il corpo lasci uscire il peggio di sé come pure il meglio. Non si finirà mai di scoprire e di meravigliarsi di questo nostro corpo, talvolta così debole e così facilmente dolorante ma, al tempo stesso, così capace di adattarsi alle esigenze della lunga marcia e resistere alle mutate condizioni di sforzo e di resistenza!
Potrebbe capitare, talvolta, di percepire quasi l’eco di un certo scontento nella Tribù Goum per la lunghezza esagerata della strada. Non bisognerà però, dare troppa importanza a queste tensioni nella comunità. Ciò che importa è mantenere la direzione - senza deviare né abbreviare - poiché in ognuno di noi esistono ricchezze sorprendenti che resterebbero nascoste se, almeno una volta, non si tentasse di oltrepassare i propri limiti ed egoismi. È necessario attraversare le difficoltà perché i miracoli accadano e ce ne saranno! Il camminare è stato sempre un grande educatore, lo sanno coloro che gli danno fiducia.
Perdersi, strada facendo, succede raramente per fortuna! Basta però smarrirsi una volta sola per non dimenticarlo mai, soprattutto se ciò arriva di sera quando il cielo comincia ad imbrunire e gli orizzonti si oscurano! Allora si accelera il passo. Ma verso quale direzione?... E si pensa agli amici che sono già arrivati, forse preoccupati, ma sicuramente radunati attorno al fuoco di bivacco! Certo perdersi non è da augurare a nessuno! Si cammina talmente meglio quando si conosce la direzione! Ogni difficoltà però porta in sé un suo messaggio. Chi si è perso, magari alla fine di una giornata sfinente, intuirà meglio l’angoscia di chi non sa per che cosa vive e di chi attraversa dei vuoti esistenziali senza risposta. Si vive talmente meglio quando si sa perché si vive. Sembrerà un’affermazione palese... ma in una società che ha perso la sua direzione, perché si è smarrita nella complessità, nel massimo profitto e nell’egoismo, quest’affermazione non è per niente evidente! Quanti sono coloro che si chiudono nel “carpe diem” senza mai interrogarsi sul senso della loro vita e sulla loro vocazione? Non solo, fare una tale domanda ai giovani è, per alcuni genitori o educatori, fare violenza alla loro spensierata gioventù. Non si deve disturbare questi cari ragazzi con provocazioni che fanno paura e con domande sulla loro vocazione. Avranno il tempo di pensarci più tardi. Se sono giovani approfittano della loro età per vivere senza farsi problemi. Chi invece si è perso una volta per strada durante il Goum, capirà meglio l’assurdità di un tale modo di educare, che lascia i ragazzi smarrirsi dietro ad occupazioni superflue, quando urge per loro sapere il senso della vita. Quello che rincuora, vedendo i Goumier scegliersi un cammino nel deserto, è che indirizzano i loro passi verso una meta, verso la... risurrezione e la vita.
Quando si cammina non si è mai soli. Certo i Goumier vanno a modo loro, chi per conto suo, alcuni a gruppetti di due o tre persone, liberamente. “Anche se all’inizio non si parla la stessa lingua, si cammina. Camminare è un linguaggio simile per tutti gli uomini” (Michel Menu). Aver percorso insieme 20/25 chilometri, rende solidali e fraterni. La strada costruisce la comunità, stringe la Tribù in un rapporto fatto di sincerità: pian piano ci si scopre al di là di certi pregiudizi. Lungo i chilometri, le maschere cadono e parlando ci si scopre vicini. La marcia stabilisce un rapporto vero, semplice e trasparente con l’altro, anche se magari per dieci chilometri non si sente la necessità di rivolgersi una parola. “Felici coloro, felici quei due amici che si amano abbastanza, che vogliono piacersi, che si conoscono abbastanza, che pensano e sentono quasi allo stesso modo, abbastanza uniti interiormente, ognuno separatamente, abbastanza gli stessi, l’uno a fianco all’altro tanto da gustare il piacere di tacere insieme, di tacere fianco a fianco, di camminare a lungo, di andare silenziosamente lungo le silenziose strade” (Charles Péguy).
Il sole è ormai tramontato dietro le colline desertiche. La giornata è stata lunga e, un po’ alla volta, i Goumier arrivano al bivacco indicato loro la mattina alla partenza. Ognuno sente la voglia di ritrovarsi insieme, di scambiare sentimenti, emozioni, racconti sui percorsi trascorsi, difficoltà e sorprese vissute. Ed è proprio quando si toccano i propri limiti, a fine giornata, che si comprende la bellezza di quei gesti gratuiti che appaiono invece così banali e insignificanti nella quotidianità della vita, dove tutto trabocca di benessere. Ad esempio, andare incontro a chi arriva per ultimo e alleggerirlo dal suo zaino, offrirgli un bicchiere di brodo caldo al suo arrivo, rimanere in piedi - anche se si è stanchi - per servire Paolo, Maria Chiara, preparare il fuoco perché si possa cucinare e mangiare presto, darsi da fare per curare dei piedi sofferenti... e tutto con il sorriso sulle labbra e la generosità nel cuore di quelle persone la cui mano destra ignora ciò che fa la sinistra. Ecco il vero stile Goum! E la marcia ne è stata l’occasione.


Non è necessario avere la fede per fare strada! Ma ogni viandante che va al passo lento del pellegrino su ampie distese, sentirà i richiami della voce della coscienza. Liberi dalla confusione della città immensa e disumana dove Dio è stato allontanato dall’uomo, i Goumier camminano in silenzio nella vastità della natura che non può non parlare di Dio. Orizzonti sconfinati, grandi distese di terre nude, rocce secche, maestose montagne, o umili fiori, scherzose farfalle, e poi questo silenzio profondo appena disturbato dalle carezze del vento,... ecco i mille ritornelli che cantano Dio. Basta poco e la fede assopita sentirà la voglia di uscire dalla sua mediocrità, per dire qualcosa di bello alla Bellezza. La preghiera inizia sempre con lo stupore! “Benedici il Signore anima mia, Signore mio quanto sei grande! Rivestito di maestà e di splendore, avvolto di luce come di un manto...Quanto sono grandi le tue opere. Tutto hai fatto con saggezza, la terra è piena delle tue creature... voglio cantare al Signore finché ho vita, cantare al mio Dio finché esisto. A lui sia gradito il mio canto; la mia gioia è nel Signore” (Salmo 103).
La strada è ancora preghiera quando tutto diventa pesante e difficile: la pioggia che bagna pantaloni e scarponi al punto di sciogliere la pelle delle dita, la salita che fa scivolare gli occhiali sulla punta del naso per il troppo sudore impedendo di vedere altro che la bassa terra, la fame cruda che attanaglia lo stomaco e poi la fatica,... allora tutto è croce. Non si sa cosa fare. Ma non c’è niente da fare se non offrire quel poco che si è. Questa è preghiera! “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero” (Matteo 11, 28-30).
La strada continua ad essere preghiera quando è occasione d’accoglienza e di servizio a quell’Ospite fisicamente assente, ma realmente presente. I suoi volti sono tanti, sarà l’attenzione data a Giorgio tendendogli la boraccia d’acqua, sarà l’interessarsi discretamente della storia di Stefania permettendo uno sfogo liberatore, sarà il rallentare il proprio passo per accompagnare Roberto e Francesca nella salita verso il colle... perché dietro alle necessità di ognuno si nasconde un Volto e una Presenza ricca: “In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me” (Matteo 25, 40). La marcia vivifica la fede e diventa servizio.
La strada si fa incontro con Cristo, quel Pellegrino discreto che accompagna ogni Goumier, questi viandanti del deserto: “Mentre discorrevano e discutevano insieme, Gesù in persona si accostò e camminava con loro. Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo” (Luca 24, 15-16). La fede è spesso cosa oscura. La strada però va avanti, costantemente avanti per portare al mistero. E anche se il camminatore è confuso nella sua fede, Cristo gli è vicino. Cammina con lui provocandolo e ascoltandolo. Sarà verso la fine della strada che avverranno i miracoli, quando lo riconosceranno alla frazione del pane.

 

Padre Stefano

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