Vestirsi di essenzialita

La porta del deserto è immensa, si estende fino all’orizzonte, resterà però sempre troppo stretta per i ricchi. Se qualcuno di loro si avventurasse, tanto per curiosare, il deserto resterebbe nei loro occhi, senza mai scendere nei cuori: “È più facile per un cammello passare per la cruna di un ago che per un ricco entrare nel Regno dei Cieli” (Luca 18, 25). La povertà è quindi una delle prime condizioni per entrare nella spiritualità dei Raid Goum.

 

La società europea è ricca anche se, sotto la maschera della ricchezza, nasconde povertà che sono scandalose per la dignità della persona umana! Queste povertà non sono solo quelle di tipo materiale: la casa, il cibo, il lavoro,... Sono anche, e soprattutto, povertà nuove, cioè quelle psicologiche e spirituali: non essere amati, non essere accolti e considerati, essere soli, avere famiglie separate e spezzate dalla discordia, essere malati, essere anziani e, alla fine, la terribile povertà che tocca l’essenza stessa della persona, cioè non sapere il senso del proprio esistere. Infatti, a cosa serve essere ricchi in questo mondo se non sappiamo perché viviamo su questa terra? Tutte queste nuove povertà urlano aiuti urgenti e spirituali!
Il nostro mondo è ricco e non sembra conoscere veri disagi: basta vedere i nostri supermercati stracolmi di tutti i ben di Dio! Basta osservare il consumo ad oltranza e lo spreco. Ancora un altro... scandalo! Più che mai la nostra società moderna conosce il suo dio: il Denaro! E tutti gli corrono dietro! E’ sempre stata la grande tentazione dell’uomo, ma forse oggi più che mai: “L’attaccamento al denaro è la radice di tutti i mali” (1 Timoteo 6, 10).
La minaccia e il rischio di imborghesirsi è sotto casa, per ognuno di noi! Oggi, quanto è difficile essere essenziali! Quanto è difficile non accondiscendere alle mode, ai vestiti firmati, alle novità informatiche, allo sprecare tutto perché lo fanno tutti, a buttare perché è più facile che risparmiare, allo spendere spensieratamente. Anche noi, siamo figli di questa società, Volenti o nolenti ci adattiamo alle consuetudini odierne. Scegliere di andare contro corrente è pazzia!
Per fortuna, il Vangelo, che è da sempre e per sempre, ha delle parole profetiche per stimolare le nostre coscienze addormentate nel benessere: “Ma guai a voi, ricchi, 
perché avete già la vostra consolazione. Guai a voi che ora siete sazi, 
perché avrete fame. 
Guai a voi che ora ridete,
perché sarete afflitti e piangerete.
Guai quando tutti gli uomini diranno bene di voi. 
Allo stesso modo infatti facevano i loro padri con i falsi profeti” (Luca 6, 24-26). E’ tempo di cambiare! E’ tempo di maturare altri valori per fare altre scelte di vita.

 

Vivere l’essenzialità nel nostro mondo comodo è una scelta sconcertante! Per tante persone, ormai non più abituate ai sacrifici, una scelta di povertà volontaria sembra assurda, anche se fosse per una sola settimana all’anno. Dicono: perché farsi del male quando si può vivere così bene e comodamente? Perché fare rinunce esagerate? A cosa serve essere estremisti? Queste persone però non possono immaginare che, dietro a questa scelta di essenzialità, si nascondono quelle ‘ricchezze’ sognate da tutti. Probabilmente non sanno che senza una certa ‘povertà’ è molto difficile riscoprire quei valori che fanno maturare l’uomo. Chissà se queste pagine sono fatte per loro?
Ad ogni modo, i Goumier che intendono partire per il deserto hanno deciso di vivere sette giorni di povertà vera, senza finzione e senza scorciatoie. Forse non saranno compresi, forse saranno trattati da matti, ma se non si è matti una volta sola nella vita, quando lo si sarà mai?

 

Alla partenza, i Goumier si sbarazzano risolutamente e senza compromessi di tutto ciò che appesantisce i loro zaini. Scuotono i condizionamenti di una società che fa credere indispensabili un mucchio di oggetti che ognuno si trascina dietro tutto l’anno, ingombrando la vita automatizzandola.
E’ alla porta del deserto che i Goumier lasciano le sigarette, l’orologio, i gioielli, la sveglia, gli integratori, il cellulare, la macchina fotografica e soprattutto... il denaro! Questa essenzialità fa parte delle regole del gioco. Per alcuni, fare una tale scelta di sobrietà, liberarsi dalle dipendenze e abbandonare i mezzi di comunicazione è un reale sforzo! Ma ne saranno grandemente ricompensati, quando alla fine del Goum, ritroveranno questi loro oggetti insieme a quella nobile padronanza che si ha sulle cose, quando si è liberi da esse. Certo, anche in questo si può facilmente barare, ma ciò significa essere squalificati in partenza. La povertà dei Goumier non è imposta, è scelta liberamente e fa parte della loro spiritualità. Gli uomini del deserto sanno che: “Beati sono i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei Cieli” (Matteo 5, 1). Ecco dove sta la loro vera ricchezza.

 

I Goumier amano la povertà! Ci tengono molto. Sarà il condimento che li accompagnerà per tutto il raid... e non solo. Non di rado, dopo quest’avventura, la loro vita conoscerà una decisa semplificazione, sempre fonte di felicità.


Infatti essi:
• si muovono a piedi come pellegrini, senza fermare automobili per accorciare la strada;
• dormono senza tenda, sdraiandosi sulla nuda terra del deserto e sotto le stelle del cielo per trovare il meritato riposo. Solo in casi di piogge torrenziali o temporali violenti si rifugiano sotto una tettoia;
• mangiano poco. Solo un po’ di riso a colazione,a cena e... basta! Il loro cibo è assai semplice: non c’è nulla di troppo e non si spreca niente;
• si accontentano dell’acqua della loro boraccia perché non esiste altro, ma ciò basta per farli felici: “Bere è dolce come una festa!” (Saint Exupery);
• accettano, volenti o nolenti, la sporcizia di un corpo messo alla prova perché nel deserto, l’acqua è poca e l’intimità per lavarsi è scarsa;
• conoscono il disagio di non avere terra propria, casa propria, sicurezza propria, perché sono come pellegrini alla ricerca di un Assoluto. Come non ricordare ciò che mi disse Michel Menu in occasione del mio primo Goum nel 1977, in Francia sugli Alti piani dei Causses? Fu chiaro. Furono delle parole di vita che non ho mai più dimenticato: “La fatica, la fame, le intemperie, la paura di essere considerati come extracomunitari o semplicemente come matti, insomma tutte queste scomodità, in quanto sopportate con umiltà, insegnano la povertà vissuta e vera. Ci teniamo assolutamente. E’ lo stile di vita durante questi sette giorni, durante i nostri raid. E’ la condizione necessaria per avvertire in pienezza il messaggio del Vangelo e diventare recettivi alla Buona Novella. Senza una certa vulnerabilità, si è sordi a certi Messaggi, si è ciechi ad una certa Luce. Ma tutta questa povertà non si capisce subito, il giorno della partenza. Ricordo Pietro che non aveva capito o forse non voleva capire il nostro discorsino sulla povertà. Per sicurezza, aveva riempito una tasca del suo zaino con biscotti e frutta secca, senza dimenticare le pastiche di vitamine. E’ finalmente al quinto giorno che ha discretamente buttato tutte le sue riserve agli uccelli del deserto”;
• indossano una djellaba, il vestito dei beduini. All’inizio, ad alcuni sembrerà una scelta un po’ esotica. Viene da chiedersi se sia proprio necessario portare questo saio dal tessuto pesante, così scomodo per attraversare il deserto? Ma la djellaba per i Goumier non è un’uniforme, è un mantello che nasconde sotto il suo taglio severo i segreti che conoscono bene coloro che l’hanno portato per chilometri nel deserto. Essa traduce una scelta di povertà che si armonizza con il deserto. E’ anche il segno di una fraternità vissuta. La indossano tutto il giorno, sotto il sole o la pioggia. A non esserle fedeli, si rischierebbe di perdere il suo messaggio. Poi, in fondo, non ha dei reali vantaggi? Oltre l’utilità e la praticità, conviene ricordare qui qual è lo stretto collegamento tra la persona e la scelta del suo abito. Se è vero che, a volte, il vestito maschera la personalità a causa dei dettami della moda, è vero anche che la rivela, mettendone in evidenza la bellezza. In certe occasioni addirittura, l’abito diventa un gesto di carità. Infatti non è per se stessi che ci si veste in maniera adeguata, ma per far piacere ad una persona o ad un amico che ci è vicino. Portare la djellaba – questo mantello di povertà - in mezzo al deserto è spesso occasione per riscoprire la bellezza della persona, mettendone in evidenza i tratti del volto e la luce degli occhi!

 

Quando il ricco fa dell’Avere il criterio dell’Essere, non tarda a credersi ‘qualcuno’, a ritenere che tutto gli sia dovuto e subito, che il denaro possa comperare tutto o quasi. Malgrado ciò, il ricco è un perpetuo insoddisfatto, sempre bisognoso di qualcosa. Più ha, infatti, e più vorrebbe possedere e più richiede. Ma in realtà... si svuota! Colui che vive troppo bene, tende a dimenticare Dio. “Infatti non abbiamo portato nulla in questo mondo e nulla possiamo portare via. Al contrario, coloro che si vogliono arricchire, cadono nella tentazione, nel laccio e in molte bramosie insensate e funeste. L’attaccamento al denaro, infatti, è la radice di tutti i mali” (1° Timoteo 6, 7-10). Qualunque sia la ricchezza materiale, intellettuale o addirittura spirituale, essa isola l’uomo e lo imprigiona nel suo orgoglio e nella sua sufficienza.
Il ricco si regge sul suo Avere come su una forza sicura. Il possesso è per lui una garanzia, un criterio stabile. La ricchezza è per lui ‘mammona’, è la sua sicurezza del tutto umana sulla quale egli si appoggia. Nella parola ‘mammona’ troviamo la stessa radice di ‘Amen’, ma tra le due parole c’è un profondo antagonismo. ‘Mammona’ è la speranza dei ricchi che hanno fiducia solo in se stessi: ecco la loro povertà! ‘Amen’ è la Speranza dei poveri, il cui unico sostegno è Dio: ecco la loro ricchezza! “Nessuno può servire a due padroni: o odierà l’uno e amerà l’altro oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e il denaro” (Luca 16, 13).*
Essere povero è anzitutto ‘avere poco’. E’ la prima esperienza che fanno i Goumier fin dalla loro partenza. Liberamente hanno scelto di andare poveri e liberi, come pellegrini nel deserto. ‘Avere poco’ significa non solo essere privati del superfluo, ma anche sentirsi mutilati nel necessario: non avere acqua quando si ha sete, né ombra quando fa troppo caldo, un rifugio quando piove, né cibo quando si ha fame, neppure un sorriso quando si è tristi: “In verità vi dico: questa vedova, povera, ha messo più di tutti. Tutti costoro, infatti, hanno deposto come offerta il loro superfluo, questa invece, nella sua miseria, ha dato quanto aveva per vivere” (Luca 21, 3-4). Questa è la vera povertà ed essa resterà incomprensibile a chi non l’avrà vissuta con i propri piedi, le proprie mani, la propria testa e il proprio cuore. Nessuna lettura di qualche libro, anche cercando tra le migliori collane di spiritualità francescana, potranno mai sostituire un vero contatto con ‘Sorella Povertà’. L’essenzialità è una specie di linguaggio che s’impara attraverso una privazione vissuta in prima persona e in nessun altro modo. Certe volte questa scelta di povertà volontaria è faticosa perché fa toccare con mano la nostra fragilità e la nostra vulnerabilità. Ma non è la condizione per aprirsi a nuove ricchezze?
Non basta ‘avere poco’ per essere povero davvero, bisogna anche ‘essere poca cosa’. Vivere l’esperienza della privazione dell’avere conduce ad una nuova povertà: alla povertà di essere niente. Quando si sono persi gli appoggi e le sicurezze garantite dall’avere, non si tarda ad affondare in un certo annientamento della persona. Si tocca allora con mano l’incapacità, l’impotenza, il nulla. Sembra di non esistere più, di non essere più! E’ la vertigine! Si perde l’equilibrio! Viene il panico! Non si sa più dove andare! Questa ‘povertà di essere’ fa molto più male che la ‘povertà di avere’ perché ferisce la persona, non più nelle cose esteriori, ma nella sua intimità. Potrà sembrare una povertà inutile e distruttiva della persona, invece no! E’ una tappa necessaria per scoprire se stessi. E’ soprattutto l’occasione per diventare finalmente umili e mendicanti di essere, dell’Essere stesso di Dio che si presenta a Mosè come ‘Colui-che-E’’. Ci vogliono queste ‘povertà d’essere’ per cominciare a supplicare Colui-che-E’, sempre pronto a colmare con il suo Essere divino il vuoto di essere umano. Non è quello che recita il salmo quando dice: “Un abisso chiama un abisso” (salmo 41,8), ossia l’abisso del nostro ‘essere poco’ che chiama l’Abisso dell’Essere di Dio.
Sarà il caso di riportare qui l’esperienza che Caterina da Siena vive nel deserto della sua cella. Alla faticosa domanda che si fa: “Chi sono io?”, Dio le risponde in un colloquio intimo: “Tu sei colei che non è, e Io Sono Colui che Sono!”. Caterina arriva alla conoscenza di se stessa, non con le proprie forze, non con la sua scienza, ma con il suo ‘non essere’ pienamente aperto all’Essere di Dio. “La conoscenza di te stessa ti ispirerà l’umiltà, scoprendo che da te stessa tu non esisti e che, se esisti, lo devi a Me che ti ho amato ancora prima di darti l’esistenza” (Dialogo).
Questa esperienza di Caterina è quella di ogni cristiano, chiamato ad essere povero di se stesso per essere ricco di Dio. E’ anche l’esperienza degli ‘Anawim’, cioè degli umili del Vangelo che, come Maria e Giuseppe, hanno un’unica ricchezza: Gesù! E’ precisamente l’esperienza che vogliono vivere i Goumier nel deserto, per lunghi i chilometri, trovandosi spesso a disagio, sempre mendicanti dell’Essere infinito di Dio. La povertà è stata per loro l’occasione di scavalcare l’ingombro dell’Avere e della superbia, per raggiungere la loro persona e scoprirne tutta la sua ricchezza. La povertà liberamente scelta è rivelazione della persona e della sua bellezza.

 

Ci saranno forse alcuni esteti - in realtà assai rari! - che esalterebbero a tal punto la povertà da farne un culto, disprezzando le ricchezze per puro snobismo? La loro filosofia sarebbe fuori luogo perché cercare la povertà per la povertà è un’assurdità! Non può essere amata per se stessa! L’unica motivazione che giustifica la scelta della povertà è l’accoglienza di una più grande ricchezza: “Beati i poveri in spirito perché di essi è il Regno dei Cieli”. La povertà merita di essere vissuta perché è la condizione necessaria per scoprire la ricchezza della PERSONA ed entrare nella densità del suo mistero.

 

“Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili” (1 Pietro 5, 5). Senza una sincera povertà e una profonda umiltà è difficile accogliere il dono della rivelazione di Dio: “Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli” (Matteo 11, 25). La povertà è la finestra che si apre sulla conoscenza della Persona di Cristo per riceverne tutta la ricchezza divina.
Anzitutto in quanto Figlio Eterno, “Egli non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio, ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini” (Filippesi 2, 6-7), cosicché “da ricco che era, si è fatto povero per noi, per arricchirci per mezzo della sua povertà” (2° Corinzi 8, 9).
Poi in quanto uomo, Gesù ci ha offerto la lezione della mangiatoia di Betlemme, affinché non avessimo nulla, per avere solo Lui. Ci ha offerto l’esempio di una vita povera e itinerante per insegnarci a non sprofondare nella mollezza soporifera delle ricchezze: “Gesù rispose loro: ‘Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo’” (Matteo 8, 20). Alla fine, Gesù ha accettato di essere spogliato e inchiodato ad una croce perché: “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà” (Luca 9, 24). Povero per eccellenza, Gesù è il modello dei Goumier, questi poveri che lo seguono con lo zaino in spalla, che dormono come lui sulla nuda terra, che mangiano il poco che offrono i campi, andando a passo lento dietro a Lui. Oramai, non esiste povertà senza Cristo, né Cristo senza povertà!

 

Giocarsi uno stile di essenzialità per una settimana è andare incontro a certi inconvenienti. Deve essere chiaro! Certe volte le resistenze fisiche o psicologiche sono messe a... dura prova. Lo sanno coloro che hanno camminato per ore e ore sotto la pioggia e arrivano la sera al bivacco, completamente esausti. E’ allora che comincia il bello: non si tratta di riposarsi, ma di tirarsi su le maniche per trovare un po’ di legna bagnata, accendere un fuoco che tarda a bruciare, mettere l’acqua a bollire nelle pentole, organizzare il bivacco con tutti e per tutti! La voglia di arrendersi e lasciarsi schiacciare dai propri limiti sarà tanta. Ma sarà anche l’occasione per lottare, per tenere duro, per respingere la tentazione di abbandonare tutto. Ecco la nostra povertà! Tutti questi piccoli disagi sono alla fine un grande dono: cioè la riscoperta della propria persona tale e quale come è, senza finta, senza scusa... in cammino verso Cristo.

 

Oltre alla riscoperta di se stessi, la povertà/essenzialità ha ancora altri vantaggi da offrire ai Goumier. E’ occasione per approfondire quei valori troppo dimenticati nella nostra società ricca. Quali sono?

 

Padre Stefano

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