Il deserto

 

I Goumier hanno lasciato tutto e finalmente sono partiti. Hanno tagliato i ponti con un mondo stressato per andare verso un mondo inesplorato: il deserto. È questo il luogo che hanno scelto per i loro raid selvaggi e liberi. Nessun’altra terra, nessuna montagna maestosa, nessun mare infinito, nessuna campagna rigogliosa potrà mai sostituire i loro deserti. Che si trovino in Francia, o in Italia (Sicilia, Murge, Senese, Abruzzo e altrove...), o in Spagna, o in Marocco, o in Turchia, o anche in Terra Santa sulle orme di Cristo, o nell’Hoggar nel ricordo di Charles de Foucauld, è in “questa patria di vento e di stelle” che porteranno i loro passi. La scelta però del deserto non è sempre facile. Spesso si nasconde la subdola tentazione di trovare una natura più ridente e più comoda, fatta di boschi, di verde e di campi coltivati, per vivere l’avventura. Trascurando il richiamo del deserto, i Goumier rischierebbero di annacquare la loro proposta e di perdersi. Hanno bisogno di queste distese monotone e brulle, abbagliate da un sole troppo intenso per tracciare il loro azimut e andare al passo del beduino. Sanno che questi ampi spazi di aridità e di silenzio sono i santuari della presenza di Dio.
Purtroppo non è raro oggi che il deserto venga violentato dalla presenza prepotente dell’uomo. In zone geograficamente dominate dall’aridità e dal vuoto l’uomo arriva con la sua tecnica e i suoi divertimenti per costruirsi paradisi di benessere. Per distrarre i giovani annoiati, certe discoteche berciano musiche assurde durante le notti, distruggendo la quiete di un cielo stellato.
I Goumier non giungono nel deserto da turisti. Si addentrano in esso da nomadi. Per loro, il deserto non è un semplice oggetto di curiosità, né un’occasione per sperimentare emozioni forti vissute in Land Rover superaccessoriate, sostando agli incroci fra le dune, nei ristorantini tipici dove si può gustare un couscous preparato ad arte dal Tuareg di turno! No, assolutamente. Per loro il deserto è un luogo sacro e, prima di solcarlo, si sbarazzano di tutte le maschere e le convenzioni, come Mosè dei suoi sandali: “Mosè pensò: ‘Voglio avvicinarmi a vedere questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?’. Il Signore vide che si era avvicinato per vedere e Dio lo chiamò dal roveto e disse: ‘Mosè, Mosè!’. Rispose: ‘Eccomi!’. Riprese: ‘Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa!” (Esodo 3, 3-5).
Un antico uomo del deserto, Sant’Efrem, ricco di esperienza e di saggezza diceva a proposito: “Beato sei tu, o uomo che porti i tuoi passi nel deserto... sappi che la strada del deserto è stretta. Se non ti spogli non la potrai mai trovare. Solo la povertà ne apre le porte. Dunque affrettati e domanda la grazia di scoprire la povertà al fine di arricchirti di saggezza. Non fermarti mai quaggiù, ma stabilisciti nel cuore stesso del deserto: allora sarai vicino al paradiso perché sarai abbastanza forte per accoglierti come sei”.
E’ a piedi che i Goumier entrano in questi luoghi selvaggi, in questi spazi infiniti. Dietro di loro la porta si richiude con un silenzioso colpo di vento.

 

Allora, tutto stupisce! Uno sguardo all’orizzonte stenta ad abbracciare l’immensità. Il Goumier ancora poco abituato alla marcia su ampie distese è sorprendentemente attratto dalla punta delle proprie scarpe e, la testa rivolta verso il basso, non vede più lontano del proprio naso, dimenticandosi di tutto il resto. “Alza dunque gli occhi ogni tanto e fermati pure a respirare l’aria calda del deserto e ad ammirare tutto ciò che lo circonda!”. Qui tutto affascina e spaventa al tempo stesso: gli orizzonti sereni che ondeggiano all’infinito, la calma calda, il tempo quasi fermo, sospeso nell’eterno, lo splendore della luce. “Nel deserto l’aria è più pura, il cielo più limpido e Dio più familiare” (Origene).
Quando i Goumier attraversano questi spazi selvaggi con la loro bussola in mano, il rischio di perdersi andando dietro alle vane curiosità o ai vuoti artifici, non esiste. Qui c’è solo una bellezza casta e sobria per riposare i propri occhi e riempirsi di immensità, serenità e chiarezza. Nel cuore di questa natura, le parole come infinito, silenzio, pace, eternità prendono il loro senso pieno. L’avere non conta nel deserto, ma solamente l’essere. Ci si accontenta di poco, basta l’essenziale e si è felici! Bisogna quindi aver fiducia nel deserto, poiché il suo profilo ondeggiante si ripercuoterà oltre il sensibile, verso una totale riunificazione della persona. Non si ritorna mai dal Goum del tutto uguali a quando si è partiti il primo giorno. Quale felice trasformazione! Il deserto è una solitudine in cui si possono ritrovare energie sconosciute.

 

Il deserto è troppo ampio per essere detto con una parola sola. Ci vogliono tante espressioni, anche  contraddittorie, per scoprire i misteri che nasconde nelle sue profondità. Al ritmo del passo lento del beduino, il deserto rivelerà le sue tante sfumature. Scopriamole insieme!
Fianchi cinti, scarpe ai piedi, zaino sulle spalle e bastone in mano, i Goumier si mettono in cammino come dei pellegrini dell’Assoluto, alla maniera degli Ebrei, una notte di Pasqua, sulle rive del Mar Rosso. Il deserto non è per loro una dimora, ma una pista sulla quale si affrettano, senza tornare indietro, per raggiungere la Terra promessa. Per loro il deserto è una terra d’Esodo.“Ricordati di tutto il cammino che il Signore tuo Dio ti ha fatto percorrere in questi quarant’anni nel deserto, per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore e se tu avresti osservato o no i suoi comandi. Egli dunque ti ha umiliato, ti ha fatto provare la fame, poi ti ha nutrito di manna, che tu non conoscevi e che i tuoi padri non avevano mai conosciuto, per farti capire che l’uomo non vive soltanto di pane, ma che l’uomo vive di quanto esce dalla bocca del Signore. Il tuo vestito non ti si è logorato addosso e il tuo piede non si è gonfiato durante questi quarant’anni” (Deuteronomio 8, 2-4).
Talvolta il deserto apparirà, per chi arriva stremato da mesi di stress e di lavoro, come una terra di rifugio e di riparo. L’uomo del deserto è un ‘trasgressore’ perché non si arrende agli schemi della società moderna: “La voce di Mattatia tuonò nella città: ‘Chiunque ha zelo per la Legge e vuole difendere l’Alleanza mi segua’. Fuggì con i suoi figli tra i monti, abbandonando in città quanto possedeva. Allora molti che ricercavano la giustizia e la Legge scesero per dimorare nel deserto” (1° Maccabei 2, 27-29). L’aggressività di una vita caotica ferisce e quando la ferita fa troppo male, non si sa più che cura scegliere. Urge ritornare verso la solitudine come fonte di pace e di riposo: “Ha trovato grazia nel deserto un popolo di scampati alla spada. Israele si avvia ad una quieta dimora” (Geremia 31, 2), e ancora: “Venite in disparte, in un luogo solitario, e riposatevi un po’” (Marco 6, 31).
Dopo due o tre giorni di cammino nel deserto, gli occhi si affaticano e si annoiano per una luce troppo cruda. Si comincia a provare sete, fame e stanchezza! La solitudine incombe e nessuna distrazione può colmarla. Tutto diventa più aspro e l’entusiasmo iniziale comincia a vacillare. Si prova quasi un senso di vertigine. Prima di divenire terra di fuoco, di luce e di gioia, il deserto si presenta spesso come terra inospitale.La voglia di mormorare e di contestare è alle porte. Il deserto, grande e terribile, è sempre stato un banco di prova: “Nel deserto di Sur il popolo di Israele arrivò a Mara, ma essi non poterono bere l’acqua tanto era amara... allora il popolo mormorò contro Mosè” (Esodo 15, 23-24), e ancora: “Essi mormorarono contro Mosè dicendo: ‘Ci avete condotti in questo deserto per farci morire di fame” (Esodo 16, 3).  Il deserto scruta la mente e saggia i cuori, passando la nostra vita al vaglio della luce e della verità. In esso non esistono distrazioni per fare finta: non rimane altro che andare avanti, lottando contro se stessi e contro la tentazione. Se la lotta si conclude con la vittoria, allora la persona cresce; se la lotta invece si trasforma in disfatta, allora la persona non vede l’ora di scappare da questa vasta solitudine. Che lo si voglia o meno, il deserto obbliga a fare una scelta: alcuni rimarranno sconvolti al punto tale da provarne repulsione, altri accettando lo sforzo potranno sopravvivere e vincere. Il deserto non è facile! Ma questo gusto amaro della prova, così faticosa da mandar giù, vale di gran lunga tutte le benedizioni e tutti i beni che Dio ci elargisce insieme alle prove: “Vagavano nel deserto, nella steppa, non trovavano il cammino per una città dove abitare. Erano affamati e assetati, veniva meno la loro vita. Nell’angoscia gridarono al Signore ed Egli li liberò dalle loro angustie. Li condusse sulla via retta, perché camminassero verso una città dove abitare” (Salmo 106, 4-7). In fondo è la pedagogia di Dio che, avendoci creati senza che noi lo volessimo, non vuole salvarci senza la nostra consapevolezza e responsabilità.
Ciò che conta innanzi tutto quando si è nel deserto è andare e perseverare, senza lasciarsi prendere dalle troppe emozioni vissute sulle vette dell’Incontro con Dio e senza scoraggiarsi se si scende nelle valli della recriminazione contro le fatiche di queste terre brulle. Bisogna avere la pazienza di arrivare alla fine per gustarsi la vittoria, per cogliere i fiori e i frutti della risurrezione e della vita. I frettolosi che vogliono tutto e subito non sono ancora adattati per stare nel deserto.

 

Sono bastati pochi giorni ai Goumier per intuire quanto il deserto, che pareva un luogo terribilmente vuoto, è in realtà un alto luogo d’incontri:

  • Anzitutto, l’incontro con il diavolo. Come il Popolo d’Israele nel suo cammino nel deserto, anche Gesù conoscerà la tentazione: “Allora Gesù fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo. E, dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, ebbe fame. Il tentatore allora gli si accostò e gli disse: ‘Se sei il Figlio di Dio, dì che questi sassi diventino pane’. Ma Egli rispose: ‘Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio’” (Matteo 4, 1-4). Nel deserto la tentazione è più profonda, più sottile, più insidiosa e, in un certo qual modo, più violenta che non in un mondo agitato, dove più facilmente ci si può distrarre. Certo le mille seduzioni che circondano la nostra vita quotidiana sono occasioni di tante tentazioni che ci indeboliscono perché incapaci di resistere ai loro interessi. Allora cadiamo nella trappola del peccato che a sua volta genera la tristezza e l’amarezza di aver perso dignità e qualità di essere! Invece nel deserto non c’è niente per essere distratti, allora la tentazione punta direttamente verso la mente e ossessiona lo spirito. Non si può scappare ad essa perché la lotta è al centro della persona, a meno che si guardi verso l’alto, cioè verso il Cielo: “Siate temperanti, vigilate. Il vostro nemico, il diavolo, come leone ruggente va in giro, cercando chi divorare. Resistetegli saldi nella fede” (1 Pietro 5, 8-9).
  • In secondo luogo, l’incontro con se stessi. Chi non fa fatica ad incontrarsi quando si ha così poco tempo per se stessi? Chi può pretendere di conoscersi bene e fino in fondo? L’uomo è un enigma, carico di complessi, di poca stima, delle volte nemico di se stesso! Lo diceva già Geremia: “Più fallace di ogni altra cosa è il cuore e difficilmente guaribile. Chi lo può conoscere?” (Geremia 17, 9). Tutto si complica nella società odierna che spesso è ingannatrice, provocando fluttuazioni d’identità. Come si fa oggi a non essere assorbiti dai ritmi frenetici della produttività? In un certo senso siamo costretti ad andare al suo passo, e pian piano prendiamo il ritmo del correre. La vita diventa uno stress, i ritmi naturali scompaiono: si mangia male, si dorme male, si fa fatica a stare tranquilli insieme. Ciò che importa è produrre a tutti costi, edificare un mondo di denaro per AVERE, ma soprattutto per fare, fare e fare ancora.

Arrivare in queste terre di silenzio e di terra nuda è, all’inizio, vivere l’esperienza del vuoto, della noia e della delusione. Andare nel deserto significa avere il coraggio di incontrarsi con se stessi. Infatti, con le sue distese di luce e di verità, non esiste alcuna scappatoia, niente che permetta di nascondere tutte quelle domande che si agitano nell’io più profondo. Il deserto depura! Ci rende tali quali siamo veramente, senza finta, senza maschera. Non si può barare con il deserto! Nel deserto si sperava di meditare, maturare grandi pensieri, scrivere lunghe riflessioni... invece niente, se non la distrazione e la voglia di scappare! Nel deserto si fa una strana esperienza di ‘morte’, si sperimenta la propria debolezza, la propria piccolezza e incapacità. E’ il momento di non mollare! Bisogna passare per questa aridità e sterilità apparente per entrare nell’ESSERE e nella conoscenza di se stessi. Consacrare il proprio prezioso tempo a non fare niente e a non produrre niente, per stare alla presenza di Dio nel deserto, potrà essere una fregatura, invece non lo è per nulla! E’ lasciare entrare nel più intimo, l’ESSERE stesso di Dio che riempie, illumina e dà senso alla propria esistenza. Anche se non si ha nessun effetto immediato, un po’ alla volta, si comincia a vibrare davanti alla Presenza di Dio, l’Emanuele, il “Dio-con-noi”!

  • Infine, l’incontro con Dio, in un fantastico “tête à tête”. Non siamo certo noi a precederLo nella solitudine, ma è Lui che ci conduce e ci aspetta: “Ti attirerò a me, ti condurrò nel deserto e parlerò al tuo cuore” (Osea 2, 16). Il silenzio e la verginità di questi luoghi aridi hanno fatto del deserto la culla della rivelazione: “La Parola di Dio fu rivolta a Giovanni, figlio di Zaccaria, nel deserto” (Luca 3, 2). Questa solitudine è un invito ad ascoltare i sublimi messaggi di Dio che scuote l’animo e scende fin nel profondo dell’uomo. E’ proprio lì, nel deserto, che Dio ha rivelato a Mosè il suo Nome eccellente: Yahve – Io Sono. “Mosè disse a Dio: ‘Ecco io arrivo dagli Israeliti e dico loro: Il Dio dei vostri padri mi ha mandato a voi. Ma mi diranno: Come si chiama? E io che cosa risponderò loro?’. Dio disse a Mosè: ‘Io Sono colui che Sono!’” (Esodo 3, 13-14). Non esiste uomo di fede che non sia passato per il deserto, che non abbia vissuto la preghiera coraggiosa, il silenzio e l’adorazione. Ogni nomade che affronta queste vaste solitudini è chiamato a rivivere l’esperienza di Mosè davanti al roveto ardente, cioè ad adorare, riconoscendo a Dio la supremazia dell’Essere presente in ogni cosa che esiste, toccando il fondo del proprio nulla  e... a tacere! “L’adorazione è l’amore schiacciato dalla Bellezza, dalla Forza, dall’immensa Grandezza, per poi cadere in una sorta di collasso, per entrare in un silenzio pieno e profondo.” (Elisabetta della Trinità). Sì, il deserto è il luogo dove si “adora Dio in spirito e verità perché solo Dio vuole questi adoratori” (Giovanni 4, 23).

 

Se il deserto è l’occasione d’incontri particolari, è anche il luogo dell’intimità. La terra arsa dal sole, la monotonia delle colline sempre regolari permettono scoperte inaspettate. Tra le prime si colloca questa intimità che non è altro che stare bene con se stesso e con Dio. Ormai nessun ostacolo offusca questo dolce rapporto. Finalmente l’uomo ha ritrovato il giusto rapporto con il suo Creatore: camminare come umile viandante che mendica al suo Dio l’essere e la sua Presenza. Abbandonati gli idoli e le sicurezze dell’Avere, “Yahve – Io Sono” è divenuto l’unica ricchezza che accompagna e guida il Goumier. Se conosce la fatica sa verso chi gridare, se gode la gioia e il trasporto sa chi ringraziare e lodare. Nel deserto il Creatore e la creatura si sono riscoperti e addomesticati, essendo unici l’Uno per l’altro in una irrepetibile relazione. Il profeta Geremia aveva intuito l’intensità di questa intimità quando scrive: “Così dice il Signore, mi ricordo di te, dell’affetto della tua giovinezza, dell’amore al tempo del tuo fidanzamento, quando mi seguivi nel deserto, in una terra non seminata!” (Geremia 2, 2). La Parola di Dio ascoltata nell’armonia del silenzio, il Pane di Dio mangiato alla Santa Messa sono la forza del Goumier per andare avanti, giorno dopo giorno. Sì, il deserto è l’occasione di un’intimità incomparabile che niente disturba. Come San Pietro, viene voglia di dire: “Signore è bello per noi restare qui. Se vuoi, farò tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia” (Matteo 17, 4).
Camminare nel deserto è una cura per la salute di tutta la persona, corpo e anima insieme. Certo, il deserto è rude e brutale, però è pulito. Chi vi si incammina si purifica dell’inutile, del complicato e del superfluo. Con la loro luce, queste distese vergini guariscono le ferite del cuore e del corpo da tutto lo sporco, da tutte le sozzure e da tutte le perdite d’integrità per essersi compromessi in amori ambigui e facili. Il deserto riverginizza chi ha perso la sua innocenza, rendendo al corpo e alla vita quella purezza che fa felice: “Beati i cuori puri perché vedranno Dio”.

 

La luce, il silenzio, l’immensità dei cieli trasformano il deserto in oasi di preghiera e di riflessione. Gesù stesso, spesso oppresso dalle folle, aveva nostalgia del deserto per intrattenersi intimamente con il suo Padre: “Gesù si ritirava in luoghi solitari, nel deserto, a pregare” (Luca 5, 16). Finalmente i Goumier possono ricostruire le fondamenta della propria vita interiore – troppo spesso schizzata dall’urgenza del produrre - per meglio ascoltare, nel mormorio del vento, una Voce che chiama! Il deserto è l’officina dello spirito per accogliere le parole dei maestri, per meditare, per riflettere e per pregare: ecco le condizioni per diventare profeta del Dio vivente. Chi si rifiuta di sostare nel deserto per imparare a pensare con la propria testa, rischia di non avere niente da dire nè da dare. Non è altro che un ‘pappagallo’ che ripete ciò che dicono gli altri, privo di giudizio personale!
Oltre ad essere nomadi nel deserto, i Goumier fanno, ogni mattina, un’ora – cioè sessanta minuti e non di meno – di deserto e meditazione. Dopo aver ascoltato la Parola di Dio e condiviso un breve commento, tutti si sparpagliano per trovare un posto solitario e lasciarsi avvolgere dal silenzio e dalla bellezza. E’ sicuramente uno dei momenti più intensi della loro giornata. E’ commovente poi constatare che il loro modo semplice di fare, non è altro che quello di Gesù: “Al mattino, quando era ancora buio, Gesù usciva, se ne andava in un luogo solitario e là pregava” (Marco 1, 35).

 

È proprio durante la lunga traversata del deserto che il Popolo d’Israele, sfuggendo alle persecuzioni del Faraone, ha preso coscienza della propria unità nazionale.

 

Padre Stefano

Joomla templates by a4joomla